Past lives

L'incontro tra Nora Moon ed il suo amore d'infanzia Hae Sung.

di EMILIANO BAGLIO 22/02/2024 ARTE E SPETTACOLO
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Nora Moon (Greta Lee) vive a Manhattan insieme al marito Arthur (John Magaro); nella città è di passaggio anche Hae Sung (Teo Yoo), il primo amore di quando Nora era bambina e viveva ancora in Corea e con il quale il rapporto si è sviluppato, in forme diverse, nel corso degli ultimi 24 anni.

Past lives ruota interamente intorno al concetto di “In-yun”, letteralmente “destino”, il termine, che come si dice scherzosamente nel film serve per rimorchiare, in realtà sta ad indicare il legame che unisce due persone nel corso delle loro molteplici vite.

Ad esempio perché qualcuno diventi nostro marito o nostra moglie ci vogliono 8mila strati di In-yun, ma siamo connessi, anche se in altro modo, anche con le persone che incrociamo per strada se i nostri vestiti si sfiorano.

Partendo da questo presupposto l’esordio di Celine Song, che prende spunto dalla biografia della sua autrice, vorrebbe essere una riflessione profonda e romantica proprio sui casi della vita, su cosa ci connette con le persone che ne fanno parte, quale sia la natura del nostro rapporto con esse e soprattutto come si sarebbe sviluppata la nostra esistenza se avesse preso strade diverse ammesso che queste fossero possibili.

Peccato che tutto ciò resti sulla carta.

Past lives è un film imbarazzante.

Non c’è una singola idea di regia che sia una, se non una piattezza televisiva degna di un film pomeridiano di quelli trasmessi da Tv8.

Tutto viene ripreso con una fotografia uniforme che non dona mai personalità o profondità ai luoghi, la Corea o New York sono la stessa cosa, non c’è nulla che le connoti se non una serie di sequenze da cartolina della Grande Mela con tanto di Statua della Libertà sullo sfondo in un repertorio di banalità da ufficio del turismo.

I personaggi sono, praticamente, inesistenti.

Di fatto, alla fine della storia, non sappiamo nulla o quasi di loro.

Il rapporto tra Nora e Hae si svolge attraverso poche sequenze che non approfondiscono nulla della loro relazione.
Il loro rapporto da bambini viene risolto in tre scenette nelle quali vediamo semplicemente due amichetti che si stanno simpatici.

Poi in trenta secondi, saltando tutta la parte in cui Nora si adatta alla nuova vita prima in Canada e poi negli Stati Uniti, ecco che i due si rincontrano virtualmente.

Seguono infinite telefonate tramite Skype in cui i nostri parlano vagamente e superficialmente del più e del meno e poi via altri 12 anni sono passati e giungiamo alla conclusione della vicenda.

Hae Sung lo vediamo per qualche minuto mentre marcia da soldato e per il resto sembra non fare altro che uscire con gli amici per ubriacarsi.

Infine Arthur, il marito di Nora, l’unico che potrebbe risultare interessante, soprattutto per quanto riguarda la sua reazione al rincontro tra i due, è un personaggio fantasma.

Non c’è nessuna evoluzione dei personaggi semplicemente perché essi esistono solo in quanto funzioni dell’equazione che Celine Song vorrebbe mettere in scena senza averne i mezzi.

Alcuni momenti sfociano nel ridicolo; dalla brevissima ed insensata sequenza di Hae Sung sotto le armi; ai genitori di Nora che ascoltano Leonard Cohen mentre preparano i bagagli per gli Stati Uniti, che immaginiamo sia proprio la musica che abitualmente ascolta qualsiasi coreano.

I dialoghi poi inanellano banalità su banalità, esemplare lo scambio di battute finali tra Hae Sung che si chiede se quella che i due stiano vivendo non sia già una vita passata e cosa sarebbero nella prossima e la donna che non trova di meglio che rispondere “Non lo so”.

Una battuta che sembra descrivere perfettamente lo smarrimento della regista.

Rimangono giusto i silenzi, che si vorrebbe fossero carichi di significato e che risultano imbarazzanti, tanto per lo spettatore quanto, evidentemente, per gli stessi attori.
Almeno ci sono alcune belle canzoni.

EMILIANO BAGLIO


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